mercoledì 16 aprile 2014

Pinza triestina



“Bona Pasqua, bone pinze” era l’augurio che si scambiavano i triestini.

La Pinza, questa soffice focaccia di pasta lievitata, ricca di uova e burro, è il dolce tipico della Pasqua in un territorio che va dal Goriziano sino a Fiume, che ha come centro Trieste, e che comprende tutto il Carso e vaste zone dell’Istria. Al di fuori di quest’area le preparazioni, che pure portano lo stesso nome, sono tutte un’altra cosa, un’altra storia.

Mady Fast nel suo “MANGIARE TRIESTINO” del 1993, che finalmente è ritornato in libreria nella nuova edizione per Orme editori, ci ricorda come fosse un punto d’onore fare le pinze in casa durante la settimana Santa. Nel giorno prestabilito, il primo “lievito” iniziava all’alba e tutto il giorno era dedicato alla seconda, terza lievitazione, con aggiunte graduali, codificate dalle ricette di famiglia, di uova, burro, zucchero ed aromi. Per riuscire a cucinarle nel migliore dei modi si doveva ricorrere al fornaio di fiducia e al Venerdì Santo si vedevano – e non solo nei rioni di periferia – le donne con un vassoio in testa che portavano le PINZE coperte da una tovaglia bianca ad affrontare l’ultima prova, quella del forno. Le più diffidenti mettevano bigliettini su ogni focaccia o facevano dei segni nascosti per paura che il fornaio le scambiasse con altre PINZE meno ricche.


La Gustin nel suo “Xe più giorni che luganighe”, ci sono più giorni che salsicce, ben descrive l’atmosfera familiare della mattina di Pasqua sul Carso triestino: “Dopo la prima messa del mattino tutta la famiglia si riuniva attorno al tavolo apparecchiato a festa per consumare la colazione, che aveva un carattere quasi rituale. La tavola, addobbata con degli uccellini di pane e con una treccia o un cestino con delle uova decorate, doveva essere ricca di pietanze pasquali come la gelatina, la spalla cotta o arrostita nel pane, la PINZA, la bela potica, i fiori di finocchio, la radice di rafano, le uova pasquali. Il prosciutto si mangiava in genere con la PINZA e cospargendolo con fiori di finocchio o con radice di rafano grattugiata ….”

E’ un argomento davvero interessante quello della PINZA, è bastato grattare un po’ la superficie per scoprire un mondo di credenze, di rituali magici e religiosi, di superstizione.

Come dolce o meglio come antico pane rituale come io preferisco chiamare la PINZA, nulla è lasciato al caso, pensa solo a quante volte entra nella sua preparazione il numero magico TRE: TRE lievitazioni, TRE tagli a stella prima di cuocerla, profondi TRE centimetri, mai fare meno di TRE PINZE.

Pensa alla ricchezza di uova di questo pane pasquale, alla sua benedizione in chiesa, al primo lievito che doveva iniziare alla levata del sole residuo dell’antica credenza che la crescita del sole aiutava a “crescere” anche il pane. A questo proposito ho trovato una ricetta di focaccia pasquale friulana, che doveva lievitare il sabato santo in concomitanza con la Resurrezione del Redentore, ma qui mi fermo.

Ho consultato diverse ricette di PINZA e gli aromi più utilizzati sono il vin santo, il vino di Cipro, il rum, il marsala, in una sola ho trovato la grappa, in tutte le ricette c’è la scorza di limone e di arancia, in pochissime la vaniglia.

L’aroma di anice in forma di decotto, come nella ricetta data da Ada, l’ho trovato solo in quella della PINZA pasquale del bravissimo Cesare Fonda in “Dolci carsolini di ieri e di oggi”. In una ricetta di PINZA goriziana i semi di anice vengono invece fatti macerare per un giorno nel vin santo.

Azzardo: se pensiamo al simbolismo del “seme” che come l’uovo racchiude in sé il principio della vita e della rinascita allora i tuoi semi di anice nella PINZA pasquale ci stanno perfettamente e forse sono proprio l’ingrediente dimenticato, diciamo pure “perso per strada” e a conferma di ciò in una vecchissima ricetta di “fujace” focaccia friulana ci sono quelli, questa volta interi, di finocchio.

Lucia

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