lunedì 29 aprile 2013

Serenella Romeo

Da piccina, d’estate, facevo con gioia compagnia alla mia allegra nonna materna, che nella sua cucina di Bellagio, affacciata sulle meraviglie del Lago di Como, mi raccontava storie di famiglia e della sua vita, con la confidenza che non si dà ai figli, ma si concede liberalmente ai nipoti.  Era simpatica, golosissima, curiosa del gusto e ottima cuoca.   Guardandola  imbandire nella veranda sul lago una  bella tavola,  con sontuose  prime colazioni  fatte di latte, uova  e burro freschi ogni mattino, confetture di casa e salumi e formaggi e frutta di fresco taglio e poi  curare per l’intera mattina la preparazione del pranzo, ho imparato che la cucina è cultura, istinto, amore  e cura. Assaggiavo deliziata  le minuscole michette fresche di sfornata, fragranti opere d’arte che le prestinaie rinnovavano all’alba d’ogni giorno.  Il profumo del pane e delle zwieback  ci davano  il buon mattino lungo le rampe delle scalinate che salivano alla Chiesa. Indimenticabile memoria olfattiva di gioia e di scoperta della vita. Michette fatte per un solo boccone, perché “il pane spezzato a tavola è inelegante”,  perché “l’igiene vuole che solo una mano lo tocchi per il viaggio in bocca”. Michette che “rubavo” durante il suo riposo pomeridiano e di cui, riempite di taleggio impeccabilmente morbido, mi attrezzavo le tasche dei calzoncini, per una merenda premio dopo aver sguazzato nel lago. La “ranocchietta, ultima ruota del carro” dei nipoti,  guardava  la nonna costruire piatti semplici o elaborati della sua tradizione lombarda e delle altre regioni d’Italia in cui era vissuta dal Nord al Sud. Imparava così, empiricamente.
Imparava che i fornelli preparano ma la tavola mostra e secondo le regole  del nonno, amante dei fiori  e dell’eleganza – che può esser dei ricchi come di chi nulla possiede, perché è una qualità dell’anima- che gli occhi sono i primi fruitori dei piatti, che ben presentati sono il primo indizio del gusto, segue la stimolante  fragranza nell’olfatto e, infine, sia regina di piacere la bocca.
Erano allora cucine e tavole per tempi lunghi. Poche allora, nonostante la povertà del dopoguerra, le donne al lavoro fuori casa. Tranne che nei ceti popolari, le cui ricette capaci di inventar bontà dal nulla, sono oggi esempio e pratica di cucina buona e sana e spesso anche veloce. Sta all’abilità e all’esperienza sapere combinare tempi e ingredienti a disposizione. Un esempio? L’acquacotta grossetana. Rapida, semplice, sana, buona, colorata nei cocci di presentazione e di modesta spesa. Anche presentare un piatto quotidiano è opera di affetto, che chiunque può imparare e che si può velocemente allestire con un po’ di fantasia. Curo sempre di stimolare i miei ospiti con le composizioni del piatto e i colori di contorno. Variano, come i vini, secondo i giorni e le occasioni. Improvvisando con quel che c’è intorno. La regola comunque per me come per tutti: cucinare con amore, perché gli “umori” del cuoco passano nei piatti.

Così a Bolzano dove sono cresciuta, a sorpresa, mia madre si è vista un giorno servire il primo piatto cucinato dalle mie mani, mentre lei era impegnata a istruire sulle leggi della chimica- che mi ha trasmesso come cultura di igiene alimentare- i suoi giovani allievi. Una coda alla vaccinara, gustosa ricetta della tradizione popolare romana, che avevo imparato guardando la nonna. Avevo 7 anni, una educazione improntata alla responsabilità, uno spirito indipendente, una curiosità innata alla vita, alla conoscenza e alle storie umane e una naturale attrazione per il gusto e la bellezza. Una strana bambina che ancora sopravvive in me con una chioma ormai d’argento. La cucina per gli altri mi ha sempre dato gioia e, a giudicare dalla costanza con cui frequentano la mia tavola, anche agli amici. Ho cucinato ovunque e sempre, anche nella Clinica francese dove mi hanno curato e dove l’ergoterapia riabilitativa prevedeva un’attrezzata cucina, per non smettere mai di vivere con gusto, neppure se diminuiti nella mobilità. Un tripudio di italianità ai fornelli per tavolate di medici, infermieri e pazienti…..impazienti di affondare la forchetta in spaghetti e tortiglioni ben conditi e non solo.  

Roma, multiculturale e cosmopolita, dove ho studiato giurisprudenza e poi ho lungamente lavorato nelle istituzioni pubbliche con grande impegno, è stata la palestra delle mie sperimentazioni culinarie. Amo in particolare le ricette della tradizione ebraica romana, perché sono saporite e essenziali. Un viaggio nei sapori che ha attraversato costantemente i miei anni leggendo per piacere, facendomi raccontare le ricette di famiglia, scambiando esperienze, comprando libri, spezie e attrezzi, che hanno arricchito i colli dei miei molti traslochi, delle culture dei paesi che ho visitato in Europa, negli Stati Uniti, in Africa e in India. 

Il mio libro capostipite di cucina “Il talismano della felicità” in edizione e carta di guerra, che mia mamma ha avuto dalle mani di Ada Boni, guida ben rilegato la pattuglia dei ricettari multilingue nella cucina della mia attuale minuscola casa a Bologna , dove la mia tavola e un fazzoletto di verde fiorito sono fonte di gioia per chi viene a farmi visita. Leggere, raccontare e provare ai fornelli è sempre un impagabile piacere; coltivare affetti e amicizie, specie se di famiglia e di lungo corso come quella con Ada dà corpo alla vita, perciò mi fa piacere accompagnarla in questa Orchestra di cucina.

3 commenti:

  1. Bellissimo sito! Da guardare tutto !!!

    RispondiElimina
  2. Da Serenella grazie! Continua a seguire la musica di tutta la nostra orchestra. Suona opere di gusto e sentimenti, inedite o dimenticate, da far rivivere con altri esecutori.

    RispondiElimina
  3. Dalla vecchia terza B del liceo classico di Bolzano oggi riunita ti ricordiamo con i migliori auguri. Fatti viva. Carlo bertorelle, Foscari a gosen, Mariella fassardi, Loris dalla rosa, marco zucali

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...